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Ricercatori Unimore realizzano pezzi in ottone con la stampa 3D

Un gruppo di ricerca Unimore è stato il primo a sviluppare un processo per realizzare pezzi in ottone, con la stampa 3D

Ricercatori Unimore realizzano pezzi in ottone con stampa 3D
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L’Ateneo di Modena e Reggio Emilia assume un ruolo di pioniere nel campo della ricerca sulla stampa 3D, una tecnologia sempre più strategica per applicazioni nei più svariati ambiti. Il gruppo di ricerca in Tecnologie e Sistemi di Lavorazione del Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari”, sotto la guida del Professore Andrea Gatto, è stato infatti il primo a livello mondiale a sviluppare il processo che consente, attraverso la stampa 3D, di realizzare interi pezzi in ottone.

La tecnologia è quella di fusione di polveri metalliche attraverso un fascio laser. Il risultato è stato conseguito grazie alla partnership con l’azienda 3D4MEC di Sassomarconi, che ha fornito in comodato gratuito la macchina prototipale di stampa 3D utilizzata per effettuare le prove. Grazie all’esperienza trentennale su questo tipo di processo, per molti ancora nuovo, il Prof. Gatto ed i suoi collaboratori hanno modificato il macchinario fino a renderlo adatto alla costruzione delle leghe di ottone.

“La nostra ricerca – ha commentato il Professor Andrea Gatto – potrebbe aprire la strada della costruzione additiva per usi alimentari, specialmente legata alle restrittive normative per l’acqua potabile”.

Il gruppo di ricerca del Prof. Gatto è lo stesso che ha recentemente condotto uno studio, in collaborazione con l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, che ha permesso di progettare un bronco tridimensionale, grazie al quale è stato portato a termine uno straordinario intervento, lo scorso ottobre, salito agli onori della cronaca per aver consentito ad un bambino malato di 5 anni, non più in grado di respirare autonomamente, di riprendere una vita normale.

In quel caso i ricercatori Unimore hanno iniziato studiando la normativa e la letteratura scientifica per sviluppare un protocollo di prova che rispondesse alle necessità chirurgiche e consentisse una validazione ingegneristica del dispositivo. Il team dell’Ateneo di Modena e Reggio Emilia ha poi progettato e prodotto, sempre utilizzando la tecnologia della stampa 3D, l’attrezzatura necessaria per i test ed infine eseguito le prove. Per concludere ha fornito al Ministero il documento tecnico utile a dare il via libera all’operazione.

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