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Attualità

Gli ordini professionali sono come delle imprese commerciali

Gli Ordini professionali non possono negare il diritto alla pubblicità degli iscritti né imporre tariffe di mercato

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Una sentenza del Consiglio di Stato conferma la linea dell’Antitrust contro il Consiglio forense. Gli Ordini professionali non possono negare il diritto alla pubblicità degli iscritti né imporre tariffe di mercato alterando le regole della concorrenza europea

Gli ordini professionali, pur essendo configurati con enti pubblici, a seconda degli ambiti in cui intervengono, svolgono “attività amministrativa”, “giurisdizionale” e “di impresa”, pertanto possono essere qualificati alla stregua di un’associazione di imprese ai sensi dell’art. 101 TFUE.  Ad affermarlo è il Consiglio di Stato con la sentenza n.1164 del 22 marzo 2016 in cui viene confermata la sanzione inflitta dall’Antitrust al Consiglio nazionale Forense.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con provvedimento del 22 ottobre 2014, aveva infatti comminato al CNF una maxi sanzione di euro 912.536,40 per la violazione dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), consistente in un’intesa restrittiva della concorrenza dovuta all’adozione di due decisioni volte a limitare l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento economico sul mercato. In particolare, le due decisioni contestate dall’Antitrust riguardano il parere n. 48 del 2012, con cui il CNF avrebbe limitato l’impiego di un canale di diffusione delle informazioni, e la circolare n. 22-C/2006, con la quale sarebbe stata reintrodotta la vincolatività dei minimi tariffari.

 

Il Consiglio di Stato, dando ragione all’Antitrust, ha invece affermato che, per quanto riguarda il parere n.48 del 2012, “il CNF ha adottato atti che, per il loro contenuto, devono essere qualificati come “decisioni” di imprese in quanto idonee ad incidere sul comportamento economico dell’attività professionale svolta dagli avvocati. La negazione di un diritto alla diffusione di una peculiare forma di pubblicità rappresenta, infatti, una condotta in grado di limitare l’ambito di mercato da parte di chi esercita la professione di avvocato. Mentre la circolare n. 22 del 2006 pur riconoscendo “il fatto che le tariffe minime non siano più “obbligatorie” non esclude che (…) le parti contraenti possano concludere un accordo con riferimento alle tariffe». E aggiunge che «tuttavia nel caso in cui l’avvocato concluda patti che prevedano un compenso inferiore al minimo tariffario, pur essendo il patto legittimo civilisticamente, esso può risultare in contrasto con gli articoli 5 e 43, comma 2, del codice deontologico, in quanto il compenso irrisorio, non adeguato, al di sotto della soglia ritenuta minima, lede la dignità dell’avvocato e si discosta dall’art. 36 Cost.».Secondo Palazzo Spada questa circolare “integra gli estremi di una intesa “per oggetto” avendo un chiarito contenuto anticoncorrenziale”.

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