Abusi edilizi scoperti grazie all’uso di Google Earth: la procedura è lecita
La sentenza n. 779 del Tar Sardegna, ha confermato la legittimità di un'ordinanza di demolizione di un abuso edilizio scoperto grazie a Google Earth.
La sentenza è di quelle che faranno discutere e che se avranno la forza di diventare giurisprudenza segnerà un importante punto di svolto per quanto riguarda la lotta agli abusi edilizi. Con la sentenza n. 779 dello scorso 8 ottobre, la I sezione del Tar Sardegna, ha infatti confermato la legittimità di un’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo scoperto sulla base dei rilievi fotografici realizzati con l’uso di Google Earth.
La sentenza ha sancito che, citiamo testualmente, “i rilevamenti tratti da Google Earth prodotti in giudizio possono costituire, in presenza di più circostanziati elementi, documenti idonei allo scopo di indicare la data di realizzazione di un abuso”.
Abusi edilizi scoperti a seguito di controllo effettuato con Google Earth: cronistoria di una sentenza
La vicenda nasce quando un ente locale sardo emana un ordinanza di demolizione e ripristino dei contigui manufatti. L’immobile soggetto dell’intervento infatti costituiva un abuso edilizio in quanto le costruzioni erano state eseguite quando il termine decadenziale per l’inizio dei lavori, pari a un anno, era ormai decorso.
Fin qui nulla di nuovo. Un caso come se ne trovano tanti nel mondo dell’edilizia e della burocrazia italiana. La novità sta nel mezzo utilizzato per indagare e per scoprire (certificare anche i sede processuale) l’abuso.
Il proprietario dell’immobile oggetto di ordinanza di demolizione ha chiesto l’annullamento del provvedimento con il quale il Comune di Pula ha ordinato la demolizione del fabbricato di sua proprietà nonché la rimessione in pristino dei manufatti ricadenti nella medesima area.
Secondo quanto emerge dalla lettura dell’ordinanza, il Comune ha svolto una attività di verifica sulle legittimità delle opere realizzate nell’area di proprietà del ricorrente, a seguito di un decreto di ispezione della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Cagliari, ed ha rilevato la realizzazione delle seguenti opere, in ASSENZA dei necessari titoli abilitativi (edilizi e paesaggistici):
- l’avvenuto frazionamento del lotto urbanistico originario;
- il mancato esercizio dell’attività agricola che avrebbe dovuto svolgersi nell’area;
- la rotazione di circa 180° del fabbricato realizzato sulla base della concessione edilizia rilasciata;
- la modifica della sagoma, con la realizzazione di una copertura loggiato al piano terra;
- modifiche dei prospetti dell’immobile e modifiche interne;
- una piscina e un solarium pavimentato in luogo della vasca per acqua piovana oggetto
- dell’autorizzazione edilizia;
- due locali tecnici;
- ulteriori opere di recinzione, cancellate, cisterne.
Il Comune ha poi rilevato che la costruzione (a suo tempo autorizzata in forza della citata concessione edilizia) è stata eseguita quando il termine decadenziale per l’inizio dei lavori, pari a un anno, era ormai decorso.
Dagli accertamenti aerofotogrammetrici acquisiti, l’amministrazione avrebbe appurato, infatti, che i lavori sono iniziati dopo il 13 maggio 2003, quando la concessione era decaduta ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Pertanto, il Comune ha ordinato la demolizione delle opere eseguite senza titolo e la rimessione in pristino dell’area. Ordinanza alla quale il proprietario dell’immobile si è opposto adducendo diversi ragionamenti.
Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 97 Costituzione ed eccesso di potere sotto diversi profili, in quanto il responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale sarebbe stato di fatto obbligato dalla Procura della Repubblica ad emettere l’ordinanza di demolizione, ventilando la possibilità di avvio di un’indagine a suo carico per omissione di atti di ufficio.
Secondo il TAR il motivo è manifestamente infondato, ove si tenga conto che le attività di verifica sulla legittimità delle opere realizzate dal ricorrente, avviate a seguito di un decreto di ispezione della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Cagliari, hanno evidenziato una serie di abusi, analiticamente indicati nell’ordinanza impugnata, in relazione ai quali il Comune, nell’esercizio delle sue funzioni di controllo e repressione degli illeciti edilizi, non poteva non provvedere, come ha fatto disponendo la demolizione delle opere abusivamente eseguite e la rimessione in pristino dell’area. Deve ritenersi quindi indifferente la fonte dalla quale è giunta la notizia che ha determinato l’inizio del procedimento.
Con il secondo motivo invece (e qui troviamo il ragionamento che farà giurisprudenza) il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 15 del D.P.R. n. 380 del 2001, sottolineando, in relazione alla asserita decadenza della concessione edilizia del 13 maggio 2002, di aver tempestivamente presentato la dichiarazione di inizio dei lavori in data 13 maggio 2003; dichiarazione che – sebbene non decisiva al fine di impedire la decadenza – produce l’effetto di porre a carico dell’amministrazione l’onere di provare che l’inizio dei lavori non si sia verificato.
Detta prova, secondo il proprietario, non è stata fornita dal Comune di Pula, atteso che le foto datate 13 aprile 2003 sono state scattate in un periodo precedente sia alla data di comunicazione dell’inizio dei lavori sia alla data di scadenza del termine per l’inizio dei lavori (13 maggio 2003). Tali fotografie, pertanto, non sono in grado di attestare che, entro l’ultimo mese di vigenza del titolo abilitativo, ovvero dal 13.04.2003 al 13.05.2003, i lavori non abbiano avuto effettivo inizio.
Inoltre, il termine decadenziale di cui all’art. 15 comma 2, del testo unico in materia edilizia, 6 giugno 2001, n. 380, deve farsi decorrere, secondo il ricorrente, non dalla data di emanazione, ma dalla data del rilascio del titolo edilizio, ed è altamente presumibile che il rilascio possa essere avvenuto in una data successiva, facendo così slittare ancora più in là nel tempo la data di scadenza del titolo abilitativo.
Quanto invece alla fotografia del 28 luglio 2004, acquisita da Google Earth, il proprietario rilevava che essa, da sola, non avrebbe potuto costituire la prova del mancato inizio dei lavori in quanto pacificamente priva di data certa.
Il ricorrente deduce, inoltre, che il 3 novembre 2003 ha presentato una variante alla concessione edilizia, per una serie di opere che avrebbero imposto la sospensione dei lavori, pur tempestivamente iniziati. Nelle more, tali lavori (scavi e fondazioni) furono momentaneamente ricoperti, anche per evitare la fonte di pericolo che gli stessi avrebbero potuto costituire per gli animali dell’azienda. Per cui, anche per questa ragione, la foto aerea estratta da Google Earth non sarebbe comunque idonea a dimostrare il mancato tempestivo avvio dei lavori.
Le motivazioni portate in tribunale dal proprietario però risultano a seguito di sentenza del TAR manifestamente infondate.
Secondo il TAR l’amministrazione comunale ha dimostrato infatti, in modo sufficientemente attendibile, il mancato avvio dei lavori entro il termine di un anno dal rilascio del titolo attraverso un ampio corredo di foto aeree ottenute (a parte la foto del 2004, tratta da Google Earth) interrogando l’archivio ufficiale della Regione Sardegna (disponibile anche sui siti ufficiali dell’amministrazione regionale). Pertanto, non sono pertinenti le contestazioni rivolte a inficiare il valore di prova delle foto in questione.
Dalla sequenza cronologica delle foto aeree emerge come quantomeno fino al 2004 non si intravedono tracce rilevanti dei lavori che, come si è veduto, si sarebbero dovuti iniziare entro il 13 maggio 2003. Si veda, in primo luogo, la foto aerea scattata nel periodo compreso tra il 13 e il 26 aprile 2003 (doc. 18 del Comune di Pula, deposito del 27 maggio 2019), da cui si evince che sull’area oggetto della concessione nessun intervento è stato iniziato.
La foto menzionata deve essere esaminata insieme all’altra foto aerea scattata il 28 luglio 2004 (cfr. doc. 10 del Comune di Pula, deposito del 27 maggio 2019), estratta da Google Earth, che mostra come, ancora fino al luglio 2004, non si riscontri traccia dei lavori di cui alla concessione in questione. Il ricorrente contesta la rilevanza probatoria del documento, richiamando l’orientamento secondo cui i rilevamenti fotografici tratti da Google Earth non assicurano con certezza la data del rilevamento. Tuttavia, a parte la considerazione che le affermazioni sulla inattendibilità dei riscontri fotografici rilevabili tramite Google Earth sono del tutto generiche, non si può non riconoscere il valore quantomeno indiziario della documentazione fotografica estratta da Google Earth (anche sulla data della rilevazione). Indizio che, pertanto, insieme ad altri elementi, può assurgere a vera e propria prova del fatto ignoto (in tal senso, difatti, anche la giurisprudenza di questo Tribunale: sez. II, 31 gennaio 2018, n. 54, nel senso che «i rilevamenti tratti da Google Earth prodotti in giudizio non possano costituire, di per sé ed in assenza di più circostanziati elementi (che nel caso di specie l’amministrazione non ha fornito), documenti idonei allo scopo di indicare la data di realizzazione di un abuso […]»).
La foto del luglio 2004 non deve essere quindi valutata, sotto il profilo probatorio, in maniera isolata ma insieme alla foto del 2003, sopra richiamata, e alle foto (tratte dai siti della Regione) del 2005 (doc. 17 del Comune, in cui vi è traccia dell’inizio di esecuzione dei lavori) e del 2006 (doc. 4 del ricorrente, in cui i lavori sono ormai evidenti).
La sequenza dimostra come i lavori siano stati iniziati sicuramente dopo il luglio 2004 (quasi certamente nel 2005), quando ormai la concessione era da tempo decaduta, ai sensi dell’art. 15 del T.U. in materia edilizia.